domenica

Great white wall




Non potevo scegliere un periodo migliore. La fine del 2000 e l'inizio di un nuovo millennio. Decido di prendermi una pausa di due mesi, al caldo. Australia e Fiji.  Viaggiare, vedere luoghi che non conoscevo e magari approfittare per metter una ulteriore crocetta sulla decisione di farmi tutte le top ten dive al mondo. Una era ed è alle Fiji, isola di Taveuni, il Great White Wall. 

Uno zaino, un compagno di viaggio, un borsone con tutta l'attrezzatura per filmare sott'acqua, un biglietto per Sidney e poi vedremo per il resto. Un appuntamento dopo un mese all'aeroporto di Nandi con le nostre compagne di allora, che hanno deciso di raggiungerci alle Fiji. Incontro precario, allora senza telefonini o whats app.

Prima intoppo a Francoforte, non vogliono farmi salire col bagaglio a mano perché troppo pesante, parlo col caposcalo e lo convinco. Si parte.

Un mese bellissimo girando il sud dell'Australia, poi il salto fra quelle isole incantate, riusciamo anche (con un giorno di ritardo) a recuperare le fanciulle e inizia l'avventura vera, a piedi, su vecchie navi, passaggi in pick up, scalcinate corriere e dopo esserci lustrati gli occhi per due settimane in giro, approdiamo all'isola delle orchidee. Taveuni.

Secondo intoppo. Le immersioni al Grande Muro Bianco devono essere prenotate perché effettabili solo 3 volte al mese, quando una fortissima corrente passa fra quell'isola e quella vicina. E' l'unica situazione con la quale le alcionarie bianche si aprono e fanno diventare quel muro... bianco, come fosse ricoperto di neve.

Ci va bene, dopo due giorni sarà possibile, per 48 ore. Ci inserisciono nel dive book. Il diving è ben organizzato e ...soprattutto, dopo la presentazione, acconsentono a lasciarci andare sott'acqua da soli, senza la guida. Ci fanno uno schema dettagliato dell'immersione, per altro molto semplice: ci lasceranno in un punto del reef dove il fondo è a -20, poco distante troveremo un buco verticale di 3/4 metri di diametro, basterà entrare e percorrere un paio di curve scendendo fino a -40  e sbucheremo, come da una finestra aperta, sulla magica parete dove non vedi il fondo, un grande oblò. Uscendo, la corrente ci porterà via senza pinneggiare in una corsa lungo ilmuro bianco, come una sciata. Dopo un centinaio di metri una enorme gorgonia rosa segnalerà un buco nella parete, da li con un percorso inverso dell'andata, si guadagnerà l'uscita, dove ci ripescheranno.

Tutto perfetto, immersione da brividi, la corrente ci porta via volando come dei paracadutisti in orrizzontale, quasi non riesco a filmare. Quando vedo in lontananza la gorgonia, mi giro, risalgo con una fatica assurda la corrente, mi rifaccio quasi tutta la parete e filmo qualcosa che mi fa capire perché è tra le top ten.

Tornati a terra, decido di mollare la compagnia che procederà nel giro dell'isola, prendo una camera nell'albergo del dive e prenoto il bis per il giorno dopo.  Ci ritroveremo fra due giorni al traghetto. 


venerdì



Terza Liceo Scientifico al Vittorio Veneto. Sezioni distaccate e mal adattate in varie scuole di Milano: dal Cottolengo di Don Orione alle aule nei seminterrati di Via Pace. Da noi sbandati qua e la sarebbe nato poi il Liceo Einstein. Il cui preside Georgiacodis era stato mio prof.di Storia e Fiosofia, prima del ben più affascinante e mitico Renato Fabietti, chiaramente di sinistra.

Avrei voluto fare il Liceo Artstico, ma i miei scelsero lo Scientifico. Succedeva così. Io mi resi conto dopo qualche anno che quegli studi non mi avrebbe trovato un lavoro in fretta come volevo, per essere indipendente dai miei. Così a sedicianni, mi trovai un lavoro nel pomeriggio, dalle 15 alle 18 facevo da segretario in un ufficetto a Milano, di una fabbrica di bilance, la Boiocchi, 35.000 lire al mese e i miei genitori non sapevano nulla. 

Non bastava, vista la mia passione per il disegno, mia madre, dopo un paio d'anni, acconsentì che mi iscrivessi ad un corso serale biennale di Arti Grafiche, alla Cova di corso Vercelli. La condizione era che non trascurassi il liceo. Tre sera alla settimana dalle 19 alle 23.

Prima dell'arrivo della grafica digitale. Fu un'esperienza bellissima e formativa sull'uso di  pennelli , tempere, cartoncini, cow gum e trasferibili. La fantasia portata a realizzarsi in un'opera materiale. Mi diplomai anche e in seguito feci miseri tentativi di inserirmi nel mondo del lavoro, impossibile. Già allora gli studi di nomi famosi, sfruttavano gli illusi come me, pagavano una miseria e firmavano a loro nome i tuoi lavori.

La scuola Cova però mi fece un regalo indimenticabile, una storia d'amore mitica. Piera, compagna di banco, indossatrice, coetanea bellissima, dolcissima. Finì dopo qualche mese, forse un anno, follie, non ricordo neppure perchè finì. Ora lei è una ceramista famosa.

giovedì



Mi avevano bocciato secco. A giugno. Giusto, perché non avevo aperto un libro in tutto l'anno, ma non era un problema, almeno per me, perché avevo fatto la prima elementare senza aver ancora compiuto i sei anni. Avevo un anno di recupero a credito. Per mio padre invece è stato un grosso problema, si arrabbiò molto. "Non ti piace studiare? Allora vieni a lavorare" Tre settimane di giugno in fabbrica da lui. L'idea all'inizio non mi spaventò molto. Mi sbagliavo. 

L'entrata in ditta non fu proprio eclatante, riunione in cortile e presentazione ai dipendenti: "E' mio figlio, ma voi dimenticatevelo, lavorerà qui per tre settimane, girerà tutti i reparti, trattatelo come uno di voi" Se non l'avesse mai detto sarebbe stato meglio. Prima occupazione pulizia dei bagni, cessi alla turca e lavandini.

 Non so se fu un mio sospetto o una vendetta contro mio padre, ma nessuno centrava il buco o tirava l'acqua. E io pulivo. Secondo incarico imparare l'uso di trapani, torni, presse, tutto sommato, rumore a parte, istruttivo, capivo cosa voleva dire sporcarsi le mani, senza farsi del male. 

Terza settimana : "montaggio lampadari". Un capannone di sole donne, dai 30 ai 50 anni. Una ventina, Cinque lunghi banconi, ricoperti di vecchie coperte militari. Un lavoro di precisione non pesante, molto variato, una specie di catena di montaggio, non automatizzata. Di montaggio. Si, in tutti i sensi, perchè era l'unico tema di chiacchera o conversazione delle gentil donne. Non so ancora ora se perfidamente studiato per far arrossive il giovinetto figlio del direttore o perché fosse il loro unico pensiero. In una settimana imparai più posizioni, durata, intensità, luoghi strani e altro ancora sul rapporto sessuale uomo/donna di quanto la mia esuberante fantasia e i discorsi con gli amichetti avessero mai potuto fare sull'argomento. Le ringrazio ancora ora di avermi fatto arrossire per otto ore al giorno. 

martedì

Bandiera rossa

 

A Varazze quando c'era il mare grosso, le onde arrivavano fino alle cabine e toglievano le sdraio. C'era la bandiera rossa e non si poteva fare il bagno. Però i ragazzi locali 5 o 6, tutti più vecchi di me entravano in acqua e si divertivano un sacco, divertendo tutti noi che li guardavamo. Io ero invidiosissimo. 

Nuotavano verso il largo, quando erano lontani si fermanao e aspettavano delle onde molto alte, parallele alla spiaggia. Quando l'onda faceva il ricciolo della schiuma, si giravano davano qualche bracciata forte poi partivano scivolando sotto l'onda e arrivavano fino al bagnasciuga. Un cinquantina di metri ad una velocità pazzesca.

A sedicianni, ormai sapevo nuotare molto bene e dopo averlo chiesto non so quante volte, mi hanno fatto uscire con loro. Il mare grosso era abituale verso la fine d'agosto, a volte pioveva anche.

Fu la prima di una serie quelle avventure acquatiche. Mi insegnarano tutto. Dovevi entrare in acqua fra un'onda e l'altra, nuotare forte verso il largo, lasciarti affondare e aspettare che la seconda ti passasse sopra, uscire e nuotare ancora, ripetendo tutto fino che eri veramente al largo e il mare lì era più calmo. Mi spiegarono come capire quali erano le onde giuste da prendere per ritornare a riva e quale fosse la distanza da non superare per non essere trascinati al largo, senza possibilità di ritornare sano e salvo.

Il momento magico per tornare scivolando sotto l'onda partiva dall'ordine del più esperto che gridava " verrùggiù ", ci giravamo e partivamo. Non ho mai capito e non ho mai trovato neppure ora in Internet il significato della parola Verruggio. Se qualcuno lo conoscesse me lo dica.

Il rischio mi ha sempre affascinato, il gioco era meravigliosamente pericoloso e non privo di qualche danno. Scivolando sulla schiuma a fine corsa strisciavi sulla ghiaia e una volta mi sono aperto un fianco con un fil di ferro. In fondo era il surf dei poveri.

domenica

I Martelli








Ed eccole che son venute a galla. Le bolle.

Sudan. Sh'ab Rumi, una delle immersioni più belle al mondo. L'avevo fatta molte volte accompagnando miei allievi o clienti, quasi sempre fermandomi sul pianoro a 25 metri, dove ci sono gli squali grigi stanziali. Aspettano gli spettatori che putroppo li hanno anche abituati ad essere alimentati con dei pesci morti. Qualche volta  ero riuscito a spingermi fino alla punta, un drop che scende, per un po' gradualmente, dai 35 mt. fino a sparire poi nel blu. 

Quella volta però potevo divertirmi senza l'impegno di occuparmi del gruppo. Erano tutti subacquei con esperienza e con un compagno sicuro. Mi stacco e vado veloce sulla punta, scendo, 35, qualche grigio che passa, 40, banchi di carangidi e un grosso barracuda, 45, 50, sotto non si vede il fondo, tutto intorno solo il blu. Mi allontano dalla parete, diritto nel blu, nulla, solo blu. Devo ritornare alla parete dove trovo un piccolo balcone naturale e mi siedo. Posso fermarmi 3 minuti, poi dovrò risalire, lentamente. Gli occhi fissano nel blu e sanno cosa sperare di vedere.

Dopo un minuto vedo tanti puntini neri spuntare dal blu, si ingrandiscono, sembrano aeroplanini, si ingrandiscono ancora di più, sono loro, i Martelli.

Il cervello impazzisce, i peli si rizzano, sono centinaia e mi puntano, sfilandomi davanti a  dieci metri, due minuti di estasi totali. Un regalo unico. Non lo dimenticherò mai. 



L'Osteria


L'avventura dell'Osteria, fu molto faticosa, ma gratificante. Era aperta solo dal venerdì sera alla domenica sera, perchè smettevo il "lavoro serio" a Milano e partivo per mettermi ai fornelli. Tempo un anno e grazie ad una pubblicità sulla Prealpina ero sempre al completo e lavoravo solo su prenotazione. Prezzi modici e vera cucina lombarda. Così alla grande fino ad apparire in una guida del Touring Club.

l'impronta della gestione "exsessantottina" e I prezzi popolari, che mi consentivano comunque di guadagnare e divertirmi, avevano dato un'immagine decisamente collocata politicamente. Dopo un paio d'anni questa caratteristica  mi creò molti nemici in un territorio di destra e a pochi  chilometri da Bossi . Conclusione. Mi incendiarono il locale e le indagini dei carabinieri si conclusero, come prevedibile, con la frase "a causa di ignoti".

Amen. Mi ero divertito. Dopo altri trentanni ho voluto riprovarci. Abbinando alla passione per la cucina quella che era diventata la mia attività: la subacquea.

Insieme alla mia seconda moglie avevo fatto costruire una Navetta in legno. per crociere sub, due anni di sofferenze e tormenti fra cantieri e difficoltà burocratiche. Poi finalmente nel 2003, a Tropea, partiamo: crociere sub alle Eolie.

Io, ai fornelli e sott'acqua. Ma questo è un'altro discorso, triste. Altre bolle che prima o poi verranno a galla. 

Il Risotto Giallo


Fino a diciotto anni ho vissuto in "famiglia" (poi mia madre è morta)  continuando ad imparare a cucinare da lei. Non lo facevo consapevolmente, ma memorizzavo tutto. Non ho mai messo in pratica nulla fin che della cucina se ne occupò lei.

Il meraviglioso bagaglio di quanto mi aveva trasmesso: ricette, metodi, ingredienti, conoscenza dei prodotti, tecniche, mi sarà poi di grande aiuto nella vita. E non solo per il mio piacere di mangiar bene.

Ho avuto parecchie compagne di vita, persino due mogli, delle quali una mi sopporta ancora, ma a nessuna  è mai piaciuto cucinare. Mangiar bene si, cucinare no. E' li che diventò utile, se non indispensabile, mettere in pratica quanto avevo appreso e ricordavo.

Non solo. La passione per la cucina non poteva sacrificarsi fra le mura domestiche doveva esternarsi, così a trentanni decisi di rilevare una vecchia osteria in Val Cuvia che aveva visto una sosta di Garibaldi ed era chiusa da tempo.  Passai l'esame per ottenere la "Licenza di somministrazione di bevande e alimenti" a pieni voti. Una domanda fu: "mi descriva un piatto che vorrebbe cucinare nella sua trattoria" 

Il " Risotto giallo alla Milanese" di mia madre fu un vero successo.  

sabato

Cucinare


                                        
Da mia mamma ho ereditato la passione per cucinare. Era una brava cuoca e, non ho mai capito come sia successo, ho imparato e memorizzato tutte le ricette che sapeva ed usava a mezzogiorno e sera. A pranzo eravamo soli io e lei perché mio papà andava a mangiare in trattoria, perché aveva poco tempo. Lei diceva che non era vero, era perché si trovava con la sua amante di turno.La prima cosa che ho imparato a preparare dalla mamma non era una vera ricetta di un piatto tradizionale, ma solo la mia prima colazione, da quando avevo 8 anni fino a quando sono andato al liceo. Schiacciate con il pestacarne, in un piatto piano, 16 biscotti Oro Saiwa (non 17 o 15 è fondamentale) riducendoli in polvere, versateli in una scodella bella grande, aggiungete due cucchiai colmi di zucchero raffinato e mescolate bene, aggiungete ora un cucchiaio abbondante di cacao amaro.Miscelate e mescolate accuratamente evitando che si formino delle palline, nel frattempo avrete portato a bollore 250 cc. di latte intero, facendo attenzione che non si raffreddi e si formi sopra la “pannera” (che fa schifo).Versate lentamente il latte nella scodella, mentre con l’altra mano mescolate. Controllate che il cacao non faccia grumi. Lasciate riposare il tempo necessario a farlo rassodare. Sarà pronto quando il cucchiaio, infilato in mezzo, starà in piedi da solo. Secondo la mia mamma questa colazione era fondamentale per il cervello ed il fisico e mi dava una autonomia fino all’intervallo, dove interveniva la michetta con la “bologna”.


venerdì

La coperta


 

Mio padre aveva finalmente cambiato la vecchia 1500 A e acquistato una Fiat 1100 TV nuova fiammante, bicolore (panna e cioccolato) 4 marce, cambio al volante, interno in tessuto. Aveva trovato un buon lavoro come direttore in una fabbrica di lampadari moderni, la Stilnovo, a Milano, non doveva più prendere ne treni ne tram per andare in ditta. Andava in automobile. Forse credeva di non lavorare abbastanza e aveva aperto anche una sua attività accessoria, con un socio e degli operai, non ho mai capito cosa facesse di preciso, ma quando mi portava in quel capannone, mi insegnava a usare il tornio e mi piaceva. Mia madre non ha mai lavorato, se non in casa, una casa molto molto pulita. Secondo me puliva anche il pulito. Faceva la spesa, nei negozi vicino a casa, perchè non esistevano i supermercati e certi negozi sono spariti: uno vendeva granaglie, farine, legumi secchi, a peso: aveva tanti sacchi e una paletta. Compravi a etti o chili. Vendeva anche i "cremini" dei bocconcini dolci, al cioccolato o alla vaniglia, che poi si friggevano nel burro, e cospargevano di zucchero, me li sogno ancora. Ora li puoi trovare nella cucina Ligure o Piemontese, nei fritti misti. Ma non sono cosi buoni. La "bersagliera" così chiamavano i parenti, mia mamma, aveva cominciato a soffrire di mal di schiena per un’ernia al disco. Una delle simpatiche cose che mi ha lasciato in eredità, oltre all’allergia ai profumi troppo forti. Mio papà voleva molto bene alla sua auto, aveva nel baule: un piumino per spolverala sempre prima di usarla, una pelle di daino per asciugarla, subito appena smetteva di piovere, soprattutto le cromature e una coperta di lana. Non per fare i pic nic, ma per coprire il motore quando faceva freddo. Inutile dire che una volta si è dimenticato di toglierla ed è partito. Per fortuna non ha preso fuoco tutta l'auto, ma si è sciolta solo la coperta.

Il tifo


 

Di Varazze non ho solo bei ricordi, anche uno veramente spiacevole. Andavamo regolarmente a muscoli (cozze) alla fine delle scogliere artificiali che oltre a suddividere gli stabilimenti balneari, evitavano che il mare si portasse via la sabbia. Era una classica giornata ripetuta più volte nel corso delle vacanze. Con quattro o cinque amichetti, maschera e coltello sub andavamo alla fine del molo dove l’acqua non arrivava neanche a 3 metri e con calma riempivamo un canottino dei gustosi mitili. Riportati sulla spiaggia ci pensava il bagnino Benito a pulirli, lavarli e a pranzo metterli su una lamiera bucherellata ad aprirsi su un fuoco di carbonella. Un sacco di limoni, era una bella mangiata e una festa per tutta la spiaggia. Ottimi, tranne probabilmente uno, malefico. La mattina dopo, mi sveglio con 40 di febbre e altri spiacevoli sintomi, la mia mamma chiama immediatamente il dottore e la diagnosi è infausta: probabile febbre tifoidale. Una settimana di isolamento nella cameretta della pensione, con pranzo e cena lasciato fuori dalla porta, antibiotici e rabbia. Più tre settimane da sfebbrato senza aver contatti stretti con esseri umani. E mi é andata bene, avrei dovuto finire in ospedale.

Enza di Senago

                                   

A Varazze a quattordici anni organizziamo con la Compagnia dei Bagni Roma la classica  passeggiata in collina, a Cantalupo, per scappare dalla calura e cercare un po’ di fresco nel verde e in compagnia, tutti più o meno con una "morosa" pronti ad infrattarsi in ricerca di privacy. Io mi ero appartato in un posto tranquillo con Enza 18 anni di Senago e con il classico plaid da camporella. Ci siamo baciati e strusciati così tanto che mi faceva male la pancia. Le mie mani sembravano i tentacoli di un polpo, le sue più esperte arrivarono a togliermi i pantaloncini a righe rosse, verdi e blu, quelli da bagno con la retina dentro. Enza giudiziosamente mi chiese “lo hai già fatto vero? non...” Ho mentito spudoratamente, ma l’avevo immaginato talmente tante volte, che sapevo tutto, teoricamente. Persi così piacevolmente la mia verginità. Oggi lei potrebbe essere accusata di abuso di un minore, molto consenziente. Mi ricordo tutto benissimo, era il 9 agosto 1961 (mi è rimasto stampato in mente). Alla sera a tavola, con gli occhi che scintillavano ancora, ho guardato mio padre sorridendo e pensando “tu non lo sai ma l’ho fatto”

Great white wall

Non potevo scegliere un periodo migliore. La fine del 2000 e l'inizio di un nuovo millennio. Decido di prendermi una pausa di due mesi, ...